mercoledì 12 settembre 2012

"Operazione Quercia"

E' la mattina di domenica 12 settembre 1943.
Siamo sulla montagna di Campo Imperatore, sul Gran Sasso, a 2000metri d'altezza.
Nell'albergo lassù in cima vive, prigioniero da 45 giorni, Benito Mussolini.
Affacciandosi alla finestra potrebbe godere del magnifico spettacolo del Corno Alto, spettacolo ancora più bello perchè quella domenica di settembre il sole splendeva alto e faceva risplendere, a loro volta, le vette.
Potrebbe ma è attirato da un suono anomalo. Sente, in lontananza, il rumore dei motori d'aereo. Capisce che qualcosa sta per succedere ma ancora non sa cosa aspettarsi.
Alle 14 in punto sul piccolo spiazzo davanti all'albergo atterrano 10 alianti, le famose "cicogne", uno dopo l'altro.
La prima parte dell'Operazione Quercia si è conclusa. 



E Otto Skorzeny, l'uomo delle SS aggregato alla spedizione, descrive la scena con queste parole:
" Il ruggito dell'aria si fece più forte. E di colpo toccammo terra con un rumore assordante. Uscii con l'arma in mano, lasciandomi cadere sul fianco. Eravamo a una quindicina di metri dall'albergo. Corsi verso l'obiettivo e, alle mie spalle, sentivo ansimare le mie SS: uomini scelti fra i migliori, disposti a seguirmi ovunque. Fui contento di avere ordinato di non sparare fino a che non fossi stato io il primo a farlo; l'attacco a sorpresa doveva riuscire assolutamente. All'improvviso ci trovammo di fronte una porta aperta; oltre l'uscio vi era un apparecchio radio di fronte al quale sedeva un operatore che pareva molto indaffarato. Con un calcio bene assestato alla sedia su cui appoggiava le natiche, lo facemmo cadere a terra e con il calcio del fucile mettemmo fuori uso l'apparecchio. Poi ci precipitammo verso l'ingresso principale e ci trovammo di fronte i soldati italiani che sistemavano due mitragliatrici. Saltammo sopra di essi. I militi si strinsero contro la porta, ma con il calcio del fucile, con colpi che non avevano nulla di dolce, riuscii a farmi strada tra di loro. Arrivato al primo piano mi inoltrai nel corridoio, quindi aprii la porta giusta.."



Il generale Student, colui che ha ideato l'operazione, si era più volte raccomandato coi paracadutisti di non scendere in picchiata sulla montagna ma Skorzeny, preso dall'eccitazione, fa calare in picchiata il pilota del suo aliante, il sottotenente Ellmar Meyer Wehner. Questo atterraggio precipitoso compromette i successivi atterraggi degli altri alianti e proprio per questo uno degli alianti si schianta contro una roccia, causando il ferimento di alcuni paracadutisti.
I paracadutisti tedesci si gettano fuori dai loro velivoli e fanno davvero impressione (vedeste le foto!): elmetto, tuta mimetica, "volti glabri e decisi, un armamentario di mitragliatrici, pistole automatiche e bombe a mano, e grandi cartuccere appese al collo come ghirlande di fiori."
Un carabiniere del quale purtroppo ignoriamo il nome, in vena di eroismo gli si piazza davanti e, agitando il moschetto, chiede: "Che volete?". Intanto arriva tale generale Fernando Soleti, pallido come uno foglio di carta non riciclata e spinto da Skorzeny, che precede i paracadutisti tedeschi e urla agitandosi tutto: "Non sparate, non sparate!" Come se i militari italiani avessero mai pensato di ingaggiare un conflitto a fuoco con i tedeschi.
A questo punto si tramuta tutto in farsa, come solo gli italiani senza spina dorsale sanno fare:
mentre il centinaio di parà tedeschi avanza come un solo uomo verso l'albergo, un ufficiale italiano gli va incontro con un fiasco di vino in mano e quando gli è abbastanza vicino lo alza e brinda "al vincitore!"
(Siate sinceri, paghereste anche voi oro per avere un filmato originale della scena?!)



Mentre al piano inferiore si svolgeva quanto raccontato da Skorzeny e da queste righe aggiuntive che, purtroppo, non mi sono inventata, dietro la "porta giusta" l'ispettore di polizia Giuseppe Gueli, che sorvegliava direttamente il Duce, corre alla finestra. Mussolini era affacciato al balcone e chiede al maresciallo Antichi: "Sono inglesi?"
"No, Eccellenza, sono Tedeschi"
Skorzeny si presenta a Mussolini: "Il Führer, che dopo la vostra cattura ha pensato per notti e notti al modo di liberarvi, mi ha dato questo incarico. Io ho seguito con infinite difficoltà giorno per giorno le vostre vicende e le vostre peregrinazioni. Oggi ho la grande gioia, liberandovi, di aver assolto nel migliore dei modi il compito che mi fu assegnato."
Il Duce rispose: "Ero convinto sin dal principio che il Führer mi avrebbe dato questa prova della sua amicizia. Lo ringrazio e con lui ringrazio voi, capitano Skorzeny, e i vostri camerati che hanno con voi osato."
All'arrivo in funivia del Maggiore Mors, che coi suoi paracadutisti avevano occupato la base della funivia all'inizio dell'operazione, il primo pensiero di Mussolini è rivolto ai suoi "secondini":"Vi prego di lasciare libere le mie guardie. Sono state buone con me."
 



La "Cicogna" decolla (pezzo tratto da "Storia di un anno"):
Il capitano che lo pilotava si presentò; giovanissimo: Gerlach, un asso. Prima di salire sull'apparecchio, Mussolini si voltò a salutare il gruppo dei suoi sorveglianti: sembravano attoniti. Molti sinceramente commossi. Taluni anche con le lacrime agli occhi.

Lo spazio dal quale la «Cicogna» doveva partire era veramente esiguo. Allora fu arretrata per guadagnare qualche metro. A1 termine del pianoro vi era un salto abbastanza profondo. Il pilota prese posto sull'apparecchio; dietro lui Skorzeni e quindi Mussolini. Erano le 15. La «Cicogna» si mise in moto. Rullò un poco. Percorse rapidamente lo spazio sassoso e giunto a un metro dal burrone, con uno strappo violento del timone, spiccò il volo. Ancora qualche grido. Braccia che si agitavano e poi il silenzio dell'alta atmosfera. Dopo pochi minuti, L'Aquila e, trascorsa un'ora, la «Cicogna» planava tranquillamente all'aeroporto di Pratica di Mare. Quivi un grande trimotore era già pronto. Mussolini vi salì. Il volo aveva per mèta Vienna, dove si giunse a notte avanzata. Qualcuno attendeva all'aeroporto. Di lì al «Continentale» per una notte. All'indomani, verso mezzogiorno, nuovo volo sino a Monaco di Baviera.

Il mattino dopo al Quartier Generale del Führer  l'accoglienza fu semplicemente fraterna.

La liberazione di Mussolini ad opera di «arditi» tedeschi suscitò in Germania un'ondata di grande entusiasmo. Si può dire che l'evento fu festeggiato in ogni casa. La radio preparò, con ripetute emissioni gli ascoltatori a una notizia straordinaria e non si ebbe delusione alcuna quando la notizia, verso le 22, fu conosciuta. Tutti la considerarono come un avvenimento eccezionale.

Furono mandati a Mussolini centinaia di telegrammi, lettere, poesie, da ogni parte del Reich. Non ebbe l'evento una ripercussione analoga in Italia. Erano quelli i giorni del caos, della distruzione, del saccheggio, della degradazione. La notizia fu quindi accolta come una ingrata sorpresa, con fastidio e con rancore. E si cominciò col negarla: si diffuse la voce che si trattava di una com­media, che Mussolini era già morto, consegnato agli Inglesi, che il discorso di Monaco era stato pronunciato da un sosia. Questa voce continuò a circolare anche molti mesi dopo, elemento indicativo di un desiderio. 


Finita

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